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Jim Clark e la rimonta perfetta a Monza nel 1967

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La memorabile impresa dello scozzese Jim Clark che fece innamorare Enzo Ferrari

Nella carriera dello scozzese Jim Clark brilla una perla più di ogni altra. Per Gilles Villeneuve è stato il Gran Premio di Digione del 1979, per Ayrton Senna quello di Monaco del 1984. Per Jim Clark è senza dubbio Monza 1967. La caratteristica comune a queste tre autentiche leggende del MotorSport, è quella di non aver vinto la gara che più di ogni altra li ha visti protagonisti. Il canadese della Ferrari si arrese a Jabouille e alla sua Renault Turbo e Ayrton ad Alain Prost, con la partecipazione speciale della direzione di gara monegasca. Jim Clark a Monza, nel 1967, arrivò ad un tanto così dal compiere la più grandiosa rimonta della storia delle corse. Giunse terzo, certo. Non alzò la coppa del vincitore, ovviamente. Ma in quel giro d’onore, il pubblico di Monza gli omaggiò un tributo di applausi degno della più grande vittoria che un pilota possa ottenere in pista.

Nel mezzo degli anni 60 in F1 c’è una vettura dipinta di verde molto british e disegnata da quel genio di Colin Chapman che ha l’abitudine di lanciare il cappello in aria dopo ogni vittoria. Per sua fortuna, è costretto a raccogliere tantissime volte quel cappello da terra, mentre Enzo Ferrari osserva da bordo pista, con lo sguardo infuriato nascosto dagli inseparabili occhiali scuri. Le sue vetture, le fantastiche Lotus, sono dannatamente belle. Leggere, filanti. Ogni elemento è alleggerito al massimo, limato, tornito, rimpicciolito. Tanti accusano Colin di esagerare. Lo accusano di mettere in pista vetture pericolose. Come se poi ci volesse Chapman a rendere pericolosa una lamina di acciaio sottile, spinta da 400 cv su quattro gomme che oggi non monterebbero neanche ad un passeggino.

Il legame tra Chapman e Jim Clark è fortissimo. Lo scozzese forma assieme a Graham Hill una coppia formidabile in pista. Le auto si rompono spesso, perché quando si gioca con gli spessori è normale che ci sia una certa tendenza al cedimento strutturale. Ma sono velocissime e se fai il pilota di F1 negli anni 60, ti basta questo. Quando il circus della F1 arriva a Monza nel settembre del 1967, Jim Clark ha già vinto due titoli di campione del mondo nel 63 e nel 65. La stagione non sta andando benissimo e Jim Clark ha raccolto solo due vittorie ed un sesto posto nelle gare in cui è arrivato al traguardo. In tutte le altre nisba. La dura legge di Chapman colpisce duro come nel 66, quando restò a piedi ben sei volte su nove con il n°1 sul musetto.

Durante le qualifiche i piloti riescono a mettere assieme pochi giri puliti, prima che un temporale colpisca il tracciato brianzolo. La configurazione di Monza è quella originale. Chicane neanche a parlarne. Le curve di Lesmo sono da infarto e la Parabolica è degna dei peggiori banking americani. Aggiungete aerodinamica zero, telai quanto meno discutibili e gomme che non rinfrescano neanche l’alito ed avrete il quadro piuttosto concreto per comprendere al massimo il rispetto dovuto al tracciato dai piloti dell’epoca. L’appellativo “Tempio della velocità” non cadde a caso su quel magnifico assieme di rettilinei e finte curve. Correre con il bagnato a Monza, equivale a tentare la roulette russa con cinque colpi su sei nel tamburo. Dopo aver già sparato il primo colpo.

Sul bagnato non gira praticamente nessuno, tranne Surtees che porta in gara la nuova Honda RA300, la vettura voluta da Mr. Soichiro per dimostrare che in Giappone fanno sul serio quando si parla di racing. Nei pochi giri fatti sull’asfalto asciutto, Jim Clark ha demolito il record della pista che apparteneva alla Ferrari. Il commendatore Ferrari, non la prende benissimo. La Pole resta allo scozzese, solo che lo start della gara si può condensare in tre parole pregne di significato: un autentico casino!

La Direzione Gara va in bambola totalee il via viene dato 30 secondi prima del dovuto. Alcune vetture si lanciano prima della bandiera e anche lo stesso Jim Clark viene tamponato da Amon partito meglio alle sue spalle. Il serpentone di vettura inizia a lasciare il rettilineo del traguardo, tra le urla lancinanti di motori a 6,8,12 e 16 cilindri. Alla faccia della F1 di oggi, in cui neanche Mozart bendato riuscirebbe a distinguere una Ferrari da una Mercedes.

In testa scatta Sir Jack Brabham, che ha già qualche annetto sulle spalle ma resta un mastino incredibile quando si va in gara. Alle sue spalle Dan Gurney sulla sua Eagle e la coppia Lotus di Hill e Clark, che riesce ad arginare la pessima partenza e spinge forte. Che Jim e la sua Lotus 49 siano in giornata lo si capisce subito, perché dopo tre giri lo scozzese ha già sverniciato il compagno di team e Brabham, che nel frattempo ha ceduto il passo allo yankee Gurney.

Anche per l’americano la sagoma verde della Lotus di Clark prende forma molto velocemente negli specchietti e all’ingresso della Parabolica lo passa in staccata, prendendosi la prima posizione di forza. Da quel momento in poi, Jim Clark detta legge imponendo il proprio ritmo che risulta inavvicinabile per tutti i rivali. Messo qualche secondo di vantaggio tra sé e gli avversari, Clark si limita a gestire il margine conquistato. Ma la legge di Chapman lo attende e inizia a perdere colpi in pista. All’inizio non sembra capire cosa lo stia rallentando, tanto da non accennare a chiudere il gas in rettilineo nonostante la Lotus 49 proceda sinuosa come un serpente posseduto. Iniziano a passarlo tutti e quel gran signore di Jack Brabham lo affianca per segnalargli che ha una gomma posteriore che si sta afflosciando. Per poco non esce di pista nel tentativo di avvertire il pilota della Lotus. Ve l’immaginate oggi Hamilton che affianca Alonso per avvisarlo che sta perdendo l’ala posteriore? Altri tempi, altri piloti e soprattutto altri uomini.

Jim Clark finalmente molla la presa e rientra ai box, mentre in testa alla gara Hill, Hulme e Brabham prendono il largo. Il pit stop non è esattamente da record e Jim riprende la pista con più di un giro di svantaggio dagli illustri colleghi in testa alla gara. Tantissimi altri piloti in una situazione analoga avrebbero probabilmente deposto le armi, cercando semplicemente di portare la vettura al traguardo. Non è il caso di considerare Jim Clark tra questi, visto che al rientro in pista lo scozzese prende un bel respiro e dopo si cala nella più clamorosa rincorsa della storia delle corse. Quando la sua Lotus 49 rientra in gara si trova in ultima posizione e Jim impiega solo otto giri per riportarla in undicesima posizione, a ridosso della top ten e soprattutto a portata di tiro per sdoppiarsi dai primi della gara.

Passa i battistrada con la semplicità con cui uno squalo bianco azzanna una biondina in un film horror. Spielberg non ha ancora girato The Jaws, ma il motivetto del film è incredibilmente appropriato per descrivere la circostanza. Al giro n°33 Jim Clark raggiunge il compagno di team Baghetti che si trova in settima piazza, mentre davanti si ferma Hulme. La classifica vede Brabham condurre su Surtees e Chris Amon con la Ferrari. Alle loro spalle Hill, Clark e Baghetti che formano un trenino tutto Lotus alla caccia del podio.

Il primo del terzetto di Chapman a mollare è proprio Baghetti, che vede il proprio Cosworth rendere l’anima al Dio dei motori, facendo venire più di un mal di testa ai tecnici Lotus. Monza è un tracciato durissimo per i motori e Jim Clark sta spingendo come un matto da inizio gara. Non sbaglia una cambiata e accarezza le traiettorie senza mai guidare di forza. Ma le buone maniere al volante e il talento immenso dello scozzese non sono una garanzia per l’affidabilità della macchina.

In effetti anche un’altra Lotus saluta la compagnia, ma è quella di Hill. Il suo V8 si ammutolisce proprio quando iniziano i problemi anche per la Ferrari di Amon. A questo punto Clark si trova terzo, e sta per coronare la rimonta ricongiungendosi con Brabham e Surtees, che sta facendo un’impresa sulla Honda assemblata pochi giorni prima della gara. Mentre la folla è letteralmente in delirio, lo scozzese della Lotus passa entrambi gli avversari nello stesso giro, uno alla Parabolica e l’altro alla Curva Grande, la prima dopo il rettilineo dei box.

A questo punto sembra davvero fatta, visto il ritmo insostenibile che Clark è riuscito a tenere per tutta la gara. Ma la tanto temuta legge di Chapman bussa alla porta proprio quando inizia l’ultimo giro. La Lotus inizia a perdere terreno, singhiozzando in rettilineo. Sembra che il carburante sia agli sgoccioli e a Jim Clark non resta che pelare il gas, sperando che il Cosworth vada ad aria per mezzo giro. L’attenzione si sposta per qualche secondo su Surtees e Brabham, con il pilota Honda regala una fantastica gioia a Mr Soichiro Honda. Ma il pubblico è tutto per Clark e per la sua singhiozzante Lotus che lo porta al traguardo prima di piantarlo in asso.

La pagina di storia è scritta, anche se la rimonta non è stata coronata da una vittoria. Cambia poco, perché tutti ricorderanno Monza 1967 per il terzo posto di Jim Clark e in pochi ricorderanno che Surtees ha vinto la gara con la Honda di un matto giapponese che venne in Italia ad insegnare al grande Maestro come si costruisce una F1. Per la cronaca, la benzina c’era ancora nel serbatoio di Clark, ma il Cosworth iniziò ad avere problemi di pescaggio. Se ne accorsero i tecnici subito dopo la gara. La legge di Chapman aveva colpito ancora, ma questo non gli impedì di lanciare il cappellino in aria e farlo ricadere sull’asfalto sporco. Era “solo” un terzo posto, ma ne valeva incredibilmente la pena.

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