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A riflettori spenti: vi presento Troy Bayliss

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Tutti conoscono il pilota Troy Bayliss. Non c’è appassionato di moto che non conosca questa leggenda del motociclismo. Ma chi è Troy fuori dalle piste?

Sono moltissimi, gli estimatori di Troy Bayliss. In tantissimi hanno ammirato in diretta quell’incredibile sorpasso alla prima variante di Monza durante la gara del Campionato Mondiale Superbike del 2000, quando in poche decine di metri, con una sola manovra, superò quattro piloti del calibro di Haga, Chili, Edwards e Yanagawa. Molti se lo ricordano quando, a digiuno della MotoGP da un anno e senza mai aver provato le Bridgestone da Gran Premio, si presentò alla gara di Valencia del 2006 come wild card e vinse.

Altri sono fieri di ricordare che è stato l’unico pilota a vincere il Campionato Mondiale SBK con tre generazioni di Ducati differenti. L’hanno chiamato l’Eroe dei due mondi o il Carrozzaio volante, ricordando la sua precedente professione, prima che iniziasse a essere uno dei piloti più vincenti tra le moto derivate dalla serie.

Ma com’è Troy Bayliss quando non è inquadrato dalle telecamere? Quasi tutti i suoi tifosi sanno che è una persona disponibile ma in pochi hanno vissuto in prima persona un episodio che possa confermare la fondatezza di questa definizione.

Io ricordo ancora il viso imbarazzato ed emozionato di un’impiegata di Ducati Corse, alla quale fu chiesto di recarsi in aeroporto per dare un passaggio a Troy, appena atterrato, fino alla Factory. Durante il breve viaggio dal Terminal alla sede di Borgo Panigale, l’auto dell’impiegata salì forse troppo velocemente su un dissuasore di velocità e la marmitta si sganciò, iniziando a stridere sull’asfalto. Lei accostò ma non fece in tempo a telefonare in Ducati che Troy, stesa la sua giacca per terra, si sdraiò sotto l’auto per riposizionare correttamente la marmitta.

Ricordo con altrettanto piacere di quando, dopo il suo ritiro, venne nel box nel quale lavoravo in quella stagione, unicamente per salutarmi e stringermi la mano. Oppure quando, rientrato in Ducati dopo la sfortunata stagione in MotoGP con la Honda di Sito Pons, venne a trovarci in Reparto e si offrì di aiutarmi a smontare il motore della SBK del Test Team, ridendo perché appesa alla parete c’era una sua vecchia tutta, logorata da una caduta di qualche anno prima.

Come dimenticare anche le numerose volte che, terminato il weekend di gara, si univa al team nel caricare i ricambi sul camion?

@DUCATI PRESS

Non crediate però che Troy fosse solo sorrisi e strette di mano. Lavorare con lui era impegnativo, non solo per le aspettative che si avevano, ma anche per la sua voglia di primeggiare. Se durante un semplice turno di prove libere non vedeva il suo nome tra i primi tre, diventava impossibile fargli testare una qualsiasi modifica sulla sua moto: faceva tutto schifo. A quel punto era necessario montargli una gomma da tempo, mandarlo in pista e, quando finalmente rivedeva il suo nome nella parte più alta dei monitor, allora si poteva ricominciare a lavorare.

Era la sua passione, ciò che ci meravigliava maggiormente. Anche in un test di routine, un’ora prima che aprisse la pista, lui era già nel box, casco e tuta allacciati, in piedi a fianco della moto, scalpitante in attesa di entrare per percorrere tutti i km previsti per quella giornata. A volte sembrava un ragazzino in attesa della Vigilia di Natale.

Questo era Troy, un uomo che metteva passione in ciò che faceva, col sorriso sulle labbra ma con una determinazione unica.

Si divertiva…e questa fu la chiave di ogni suo singolo successo.

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