
Una Porsche 911 (Depositphotos foto) www.motorinews24.com
L’impresa di un modello iconico, spinto oltre ogni limite, ha scritto una pagina inedita nella storia dell’automobilismo.
Nel mondo dei motori esistono veicoli che, più di altri, diventano leggende. Alcuni per le loro prestazioni, altri per il design, altri ancora per le sfide che riescono a superare. La Porsche 911, da sempre simbolo di eleganza e potenza, è una di queste. Ma in rari casi, una vettura riesce a diventare anche testimone di un’avventura epica, capace di attraversare continenti e resistere alle condizioni più estreme.
Molti appassionati ricordano la 911 per le sue vittorie nei circuiti o per le sue versioni da collezione, ma pochi immaginerebbero di vederla protagonista di una spedizione dal sapore quasi cinematografico. Un viaggio che ha attraversato culture, climi e ostacoli, diventando qualcosa di molto più grande di una semplice gara. È in questo contesto che una particolare versione della 911 ha saputo distinguersi come mai prima.
Dietro le grandi imprese ci sono spesso uomini visionari, capaci di trasformare una semplice intuizione in un piano concreto. A volte, tutto nasce da un’idea ambiziosa condivisa davanti a un tavolo, in un momento storico complesso, dove anche una corsa può rappresentare una forma di riscatto nazionale. Ma l’elemento che fa la differenza è sempre lo stesso: il desiderio di superare i propri limiti, tecnici e umani, per dimostrare ciò che sembra impossibile.
È proprio quando si combinano visione, passione e determinazione che si scrivono le storie più incredibili. E in una di queste, una Porsche 911 personalizzata ha saputo diventare non solo un mezzo meccanico, ma un vero e proprio simbolo di resistenza. Quello che accadde nel 1968 fu l’inizio di un racconto destinato a lasciare il segno, e che ha coinvolto ingegno, coraggio e una certa dose di follia.
Una sfida che ha unito ingegno e coraggio
L’origine di questa impresa risale a una competizione fuori dal comune: il London to Sydney Marathon del 1968. Un evento di oltre 10.000 miglia che avrebbe attraversato Europa, Asia e Oceania. In questa cornice, il pilota polacco Sobiesław Zasada decise di affrontare la prova a bordo di una Porsche 911 S del 1967. Ma non si trattava di una vettura qualsiasi: la sua fu preparata appositamente dal neonato dipartimento Sonderwunsch della casa tedesca, ancora in fase sperimentale all’epoca.

Per affrontare il percorso estremo, la vettura fu dotata di una protezione frontale in tubi d’acciaio, nota come “roo cage”, pensata per evitare incidenti con i canguri australiani. Tra le modifiche più curiose figuravano quattro trombe d’aria sul cofano, un sistema di scarico rialzato per guadi profondi, un serbatoio da 200 litri e addirittura una voce di corridoio secondo cui un’arma sarebbe stata nascosta nel poggiatesta passeggero. Tutto pensato per garantire autonomia, sicurezza e resistenza.
Una corsa leggendaria e un epilogo da romanzo
Durante la gara, la 911 S di Zasada si distinse per affidabilità e tenacia. Tra incendi, sabotaggi e incidenti sospetti, solo due delle tre Porsche personalizzate riuscirono a concludere la corsa. La vettura del pilota polacco ottenne uno straordinario quarto posto assoluto, dimostrando che una sportiva tedesca, allestita con cura, poteva affrontare anche le condizioni più impensabili. Dopo la competizione, l’auto venne dimenticata per quasi vent’anni in un container in Australia.
Fu solo nel 2020 che la Porsche fu riscoperta e restaurata, pur mantenendo alcuni segni autentici dell’avventura, come le luci da rally e le targhe originali. Anche l’esemplare di Edgar Herrmann, altro partecipante alla Marathon, fu riportato alle condizioni originarie dopo anni di abbandono. Questi due veicoli, sopravvissuti all’usura del tempo e della corsa, rappresentano oggi due icone viventi di un’epopea unica nella storia della casa di Stoccarda.