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Giacomo Agostini e la prima vittoria a Daytona

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Nel 1974 un italiano andò a Daytona e fece capire agli americani cosa significasse chiamarsi Giacomo Agostini. La storia del suo trionfo con la Yamaha, la stessa portata in pista dal marziano Kenny Roberts, che dopo quella gara si sentì più umano

Giacomo Agostini e MV Agusta: la combinazione perfetta tra il dna del miglior pilota al mondo e l’incredibile feeling con la sua amatissima moto, lo strumento per esprimere quell’innata capacità di andare più forte di chiunque altro. Il tutto totalmente Made in Italy. Senza possibilità di contraffazioni, con buona pace dei potenziali imitatori.Italians do it better. Quando si parla di miti nel racing a due ruote, il tricolore sventola con spaventosa sicurezza nella mente di tutti gli appassionati. In Italia abbiano scritto storie magnifiche, di imprenditori appassionati di corse. Oltre a disegnare moto belle e veloci, nel nostro dna è scritto anche a caratteri cubitali la combinazione necessaria a descrivere il talento. Il talento per portare quelle moto al limite, per seguire le traiettorie perfette e per accordare la moto all’uomo, così da rendere invincibile un’accoppiata.

Nel mezzo degli anni 70’, la domenica degli italiani era accompagnata da una solida certezza. Se quella domenica c’era una gara di moto, l’avrebbe vinta Giacomo Agostini. Che fosse 250, 500 o 750, non importava, non cambiava nulla. Tanto a vincere era praticamente sempre lui. Da italiani, abbiamo aspettato trent’anni prima di rivivere emozioni simili e in particolare è arrivato un biondino da Tavullia in sella ad una Honda in MotoGP a diventare l’incrollabile certezza degli italiani alla domenica. Come per Giacomo Agostini, anche Valentino Rossi decise di aggiungere un pizzico di pepe alla minestra, lasciando la dominatrice per l’outsider. Valentino lasciò la Honda per la Yamaha, mentre Agostini giunse ad Iwata lasciando il conte Agusta con la sua 4 tempi ed un inglese di nome Phil Read a pilotarla.

Nel 1972 Giacomo Agostini era entrato in polemica con MV Agustae le voci di un possibile cambio di casacca erano nell’aria. Erano date poco, meno di una vittoria dell’Italia contro la Germania per 4 a 3 in una semifinale dei Mondiali. Ma spesso gli allibratori non ci prendono e Rivera non ha ancora smesso di festeggiare dopo aver segnato il quarto goal per l’Italia contro l’armata tedesca.

La MV Agusta non gradì le dichiarazioni di Giacomo Agostini nel 1972 sulla pericolosità del tracciato del Tourist Trophy, che all’epoca era tappa fissa del motomondiale e che Agostini aveva già vinto 10 volte. Ma la perdita dell’amico Gilberto Parlotti sull’Isola di Man segnò profondamente Giacomo. All’epoca, il TT era la gara più seguita al mondo, con interessi pubblicitari enormi. Un vero evento mediatico, che calamitava da solo l’interesse di munifici sponsor. Perdere Giacomo Agostini al TT sarebbe stato impensabile.

Ma l’italiano era piuttosto determinato e non partecipò al TT edizione 1973. A questo scenario si aggiunse la costante crescita dei costruttori giapponesi e dei motori a due tempi, che finalmente iniziavano ad avere prestazioni ed affidabilità e rappresentavano il futuro. Giacomo Agostini iniziava anche a digerire con crescente difficoltà la cattiverie messe in giro secondo cui lui vincesse solo grazie alla moto italiana, ritenuta due spanne sopra tutte le altre presenti in griglia.La Yamaha aveva avvicinato Agostini nel 1971, ma solo due anni dopo l’italiano raggiunse l’accordo ed accettò di lasciare la pluridecorata MV Agusta per andare in direzione Iwata a raccogliere il testimone lasciato dallo sfortunato ma talentuosissimo Jarno Saarinen. Volato in Giappone, Giacomo Agostini iniziò a cucirsi la moto addosso ed a portare il proprio enorme know how in case degli storici avversari che fino a qualche mese prima bastonava in pista.

La prima gara del nuovo binomio giappo-italiano si sarebbe corsa a Daytona, in occasione della 200 miglia del 1974. Daytona era un feudo per i piloti USA, e Kenny Roberts era designato come compagno di Team di Agostini e uomo leader del team almeno per quella gara. La stampa USA accolse Giacomo Agostini a Daytona con epiteti di ogni genere, coadiuvati da un Kenny Roberts particolarmente gentile nel dichiarare apertamente: ”Agostini non conosce il circuito e non conosce la sua moto: me lo mangerò tutto crudo”.

D’altra parte si parlava di un italian boy, bello e dannatamente vincente, che arrivava negli States forte di 14 titoli di campione del mondo. Ma conosciamo bene la considerazione che hanno negli USA per tutto il racing che si svolge fuori dai confini nordamericani, per cui le loro dichiarazioni potrebbero quasi sembrare gentili se rilette oggi. Giacomo Agostini si limitò ad incassare in modo signorile e a passeggiare per il circuito, osservando l’asfalto, le curve ed i punti di staccata. Tanti lo prendevano per turista, mentre lui stava preparando il colpaccio. Durante le qualifiche conquistò la quinta posizionee i media si scatenarono contro di lui offendendo il suo palmares e sottolineando come non fosse riuscito neanche a qualificarsi tra i primi tre.

Ma allora come oggi, le gare si vincevano alla domenica e dopo aver passato un fine settimana a mettere a punto la Yamaha, Agostini giunse allo start della 200 Miglia carico come non mai ed in perfetta sintonia con la 500 made in Iwata. La sua biancorossa Yamaha scatto benissimo e Giacomo Agostini prese presto la testa della corsa, non lasciandola per tutti i 52 giri del terribile tracciato di Daytona. Roberts tentò in tutti i modi di non farlo scappare, ma non era ancora “il marziano” e fu sconfitto esattamente come tutti gli altri umani presenti in griglia.

Vinse Agostini, l’unico vero Alieno schierato in pista. Lo stesso che aveva fregato gli allibratori e gli organizzatori del TT. Lo stesso che aveva lasciato la MV per la Yamaha. Lo stesso che quando si correva di domenica una gara di moto, semplicemente la vinceva lui. Anche Roberts dovette ritrattare i suoi intenti di cannibalismo pre-gara, dichiarando: “non posso credere che Giacomo Agostini sia un essere umano”. Caro Kenny, non era umano infatti. Era italiano e come tutti gli altri al mondo avevano ormai capito, tu ci sei arrivato solo dopo quell’incredibile gara a Daytona.

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