
Il caso Ra. Vi. e il furto di un cartello stradale a San Giovanni Gemini - www.motorinews24.com
La Corte Suprema di Cassazione, con la sentenza n. 23093 depositata l’11 maggio 2017, ha ribadito importanti principi giuridici riguardanti.
Questo pronunciamento si inserisce nel contesto più ampio della tutela dei beni pubblici e della corretta interpretazione delle fattispecie criminose da parte della magistratura di legittimità.
Il procedimento trae origine da un episodio avvenuto nel Comune di San Giovanni Gemini, situato nel libero consorzio comunale di Agrigento, in Sicilia, dove il ricorrente, identificato con le iniziali Ra. Vi., era stato condannato in primo grado per il furto di un cartello di segnaletica stradale di proprietà comunale. Il cartello, ormai sostituito dall’amministrazione locale a causa del suo stato di degrado, era stato sottratto dal ricorrente, che contestava la legittimità della condanna.
Nel ricorso in Cassazione, Ra. Vi. ha sottolineato diverse criticità procedurali e sostanziali, tra cui la nullità della notifica dell’estratto contumaciale tramite posta elettronica certificata (PEC) al difensore, ritenuta non conforme alle disposizioni del codice di procedura penale, e la mancata concessione dell’attenuante per il valore irrisorio del bene sottratto, stimato poche decine di euro.
La sentenza della Cassazione: principi di offensività e «res derelicta»
La Corte di Cassazione ha accolto le doglianze riguardanti la responsabilità penale, evidenziando come il cartello stradale in questione fosse stato oggetto di sostituzione dall’amministrazione comunale, configurandosi quindi come res derelicta, ovvero un bene abbandonato senza più valore giuridico e destinato alla rimozione o al macero. In tale contesto, è stato sottolineato che non sussisteva prova alcuna della volontà di sottrarre un bene ancora di proprietà comunale, né di arrecare un danno concreto.
La Corte ha inoltre richiamato il principio di offensività, ampiamente riconosciuto dalla giurisprudenza costituzionale e dalla stessa Corte di Cassazione, secondo cui la rilevanza penale di un comportamento è subordinata alla sua capacità effettiva di ledere o mettere in pericolo un bene giuridico tutelato. Tale principio impone che la condotta sia concretamente idonea a causare un danno o un pericolo, pena la configurabilità del cosiddetto reato impossibile, ossia un fatto astrattamente tipico ma di fatto inoffensivo.
In particolare, la Corte ha evidenziato che l’ipotesi di furto di un cartello stradale ormai vecchio, arrugginito e sostituito dall’ente pubblico, non può essere considerata lesiva di un bene tutelato penalmente, poiché il bene non gode più di protezione giuridica attiva. La motivazione della sentenza impugnata, che attribuiva al cartello un possibile valore storico o artistico, è stata giudicata priva di fondamento, in quanto non supportata da massime di esperienza o da elementi di fatto concreti e verificabili, ma piuttosto da una supposizione soggettiva.

La sentenza della Cassazione assume particolare rilievo anche per il ruolo nomofilattico della Corte, che garantisce l’uniforme interpretazione delle norme e la coerenza della giurisprudenza italiana. La Corte, composta da 65 giudici e presieduta dall’attuale Primo Presidente Pasquale D’Ascola, ha ribadito che l’interpretazione del diritto penale deve sempre tener conto della finalità della norma incriminatrice e dell’effettiva capacità offensiva del fatto.
In questo senso, la Corte ha richiamato numerose pronunce che hanno escluso la punibilità in casi di falsità documentale, commercio di sostanze con principi attivi insufficienti, o offerte di corruzione non serie, a conferma della centralità del principio di offensività e della funzione teleologica dell’interpretazione giuridica.
Il pronunciamento si inserisce nel solco della giurisprudenza costituzionale, che negli ultimi decenni ha enfatizzato la necessità di evitare che vengano puniti fatti formalmente tipici ma privi di reale offensività, a tutela dei diritti fondamentali e dell’equità del sistema penale.