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Max Biaggi e quelle lacrime dolci nel deserto del Qatar

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Andrea Imondi racconta l’esordio di Max Biaggi in Qatar, in sella alla bellissima Suzuki del Team Alstare. Una vittoria incredibile ed una lezione di vita per tutti

“Ora so che cosa vuol dire ritornare a vivere. Una punizione eccessiva restare fermo un anno”.Con queste parole un Max Biaggi in lacrime commentava la sua vittoria a Losail nella gara che lo vedeva esordire in WSBK, che lo vedeva “tornare alla vita”, dopo un anno lontano dalle corse. Un anno di porte chiuse in faccia e di scelte difficili da prendere. La scelta di tornare in Superbike, Campionato precedentemente definito minore. Ma anche un campionato per uomini veri, citando Marco Lucchinelli. Andare a giocarsi la faccia in SBK fu una di quelle scelte che solo uomini determinati e con gli attributi possono prendere.

Max Biaggi poteva restare in MotoGP, su una Ducati del Team Pramac D’Antin. Rossa come l’ufficiale di Loris Capirossi, ma con il vantaggio mediatico che, vincendo, lo avrebbero osannato tutti “ma tu guarda Max che sta facendo con una Ducati satellite”. Mentre se non avesse avuto risultati di pregio nessuno lo avrebbe criticato proprio perché avrebbe corso in una struttura non ufficiale. Poteva restare lì dove alcuni giornalisti gli avevano cucito addosso quel ruolo di cattivo, quella parte da antieroe. Ma pur sempre nella classe regina del motociclismo, con tutti i vantaggi del caso e con una remunerativa antipopolarità. Max Biaggi invece, per il suo 2007 e per il suo futuro, scelse altro.

Il campionato delle derivate di serie nel 2007, e di certo in tutti quei primi anni duemila, non era propriamente una competizione facile. In SBK correvano piloti come Troy Corser, Troy Bayliss, James Toseland e Noriyuki Haga. Scegliere di correre in SBK con una moto ufficiale e performante, lo avrebbe messo nella impossibilità di apportare giustificazioni ad un eventuale insuccesso. Veniva da quell’anno catastrofico in Honda, il 2005 terribile che in molti non gli perdonavano. Ma da vero duro, prese quella decisione.

Si allenò come un matto per 12 mesi, tra Montecarlo e la California, ed alla fine arrivò, grazie al lavoro svolto dal suo manager Zanarini, l’offerta di un altro grande uomo della Superbike, Francesco Batta, che negli anni diventò poi prima un amico e poi un secondo padre per Biaggi. Il primo avvicinamento tra i due avvenne già alla fine del 2005, ma sarebbe stato impossibile dare una moto ufficiale a Biaggi per il 2006. Così l’accordo slittò alla stagione 2007.

E Max dimostrò subito quel che valeva, con una gara perfetta in Qatar ed il gradino più alto del podio al primo tentativo. All’epoca si correva ancora sotto il sole del deserto del Qatar e illuminato da quella luce non artificiale, vidi bene quel ragazzo dietro la visiera e i suoi occhi quando, tagliato il traguardo, arrivato al parco chiuso, non si tolse subito il casco. Non lo sfilò subito per nascondere quelle lacrime di sfogo, per tutto un anno di rabbia soffocata nel cuore, di cattiverie subite, di porte chiuse in faccia.

Era solo l’inizio di un anno che lo avrebbe visto 17 volte sul podio su 25 manches corse, con un terzo posto in classifica finale a soli 18 punti da James Toseland campione e davanti a Troy Bayliss e Troy Corser, al debutto con la Yamaha R1 in quella stagione. Era l’antivigilia di due titoli mondiali WSBK, primo ed unico campione italiano in questa categoria. Era la caparbietà, la tenacia e la forza di un grande che vincevano sulle asperità della vita. Una vera lezione di vita per tutti.

Max Biaggi commentò così la vittoria del Qatar. Frasi dette a caldo, subito dopo aver sfilato il casco e con gli occhi pieni di lacrime per l’emozione: “E’ la cosa più bella che mi potesse capitare . So io cosa vuol dire restare fermo un anno e mandare giù bocconi amari. Errori? Li fanno tutti, ma io sono stato punito troppo. Un anno senza correre è stata una punizione eccessiva. Ho riscoperto la vera essenza della vita. Per me correre in moto è tutto. E vincere, ovviamente, è la ciliegina sulla torta. Insomma, sono rinato e per questo sento di dedicare a tutti coloro che mi sono stati vicini questo successo: a Francesco Batta, alla mia famiglia…”

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