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Max Biaggi: «Soffrivo come un animale, ho avuto paura di non farcela»

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Max Biaggi ha lasciato l’ospedale San Camillo di Roma da tre giorni dopo diciotto passati in rianimazione. Dal 9 giugno era ricoverato per l’incidente avvenuto sulla pista di Latina

Dopo la grande paura, nel giorno del suo 46° compleanno, Max Biaggi è uscito dalla rianimazione per il trasferimento riabilitativo alla clinica privata Pio XI. Il pilota ha raccontato la sua esperienza, l’incidente, i giorni in ospedale e l’affetto di tifosi e colleghi. «Per 17 giorni non mi sono mosso, i primi non potevo neppure parlare, soffiavo, per comunicare scrivevo sul telefonino», ha dichiarato Max Biaggi. «Ho ricevuto tanti messaggi che devo ancora finire di leggere. Oltre a chi è venuto a trovarmi, i gli auguri sui social, gli sms… da Jovanotti alla Pausini, la gente è stata fantastica. Marquez mi ha telefonato due volte, pure Gigi Dall’Igna, mi ha scritto Rea, Lorenzo dopo Assen ha preso l’aereo ed è venuto a trovarmi. E un grazie speciale al presidente del Coni, Malagò. Mi ha messo a disposizione Matteo, fisioterapista Coni…».

«Ero imbottito di antidolorifici, mi avevano messo un CVC (catetere venoso centrale) giù per la carotide che si scomponeva in 5 canali per iniettare farmaci diversi, mi avevano fatto l’epidurale, come alle donne che partoriscono, la morfina. Eppure soffrivo come un animale. Ogni minimo colpo di tosse erano lacrime. Se dovessi provare a cercare le parole giuste, sembrerei un masochista patetico, lascio solo immaginare cosa ho passato».

Max Biaggi spiega poi la dinamica dell’incidente: «Non ricordo niente, neanche la curva. In tanti anni di gare è la prima volta. La botta è stata fortissima. Ricordo appena che ho cercato di alzarmi ma mi sembrava di soffocare. Chi era lì ha raccontato che imploravo che mi togliessero il casco, pensavo fosse il laccio che mi stesse strozzando. Invece erano le spalle collassate che mi bucavano i polmoni».

Alla fine Max Biaggi ha ragionato sull’insegnamento tratto da questo brutto episodio: «La vita è un dono e che solo gli stupidi non imparano le lezioni. Bisogna limitare quello che a volte ti spinge a fare le cose in modo un po’ irrazionali. Quando sei un professionista di alto livello, i contratti, il tuo valore di atleta compensano i rischi che prendi, ma quando questo finisce e resta solo la passione, non ne vale più la pena».

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