MotoGP, Rossi: «Quando penso a Simoncelli ho solo ricordi positivi»
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MotoGP, Rossi: «Quando penso a Simoncelli ho solo ricordi positivi»

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Intervistato dalla rivista Riders, Valentino Rossi si racconta tornando sulla tragedia di Marco Simoncelli, sui progressi di Marquez, sul suo rito pre gara e sulla sua Academy

Tutti i piloti, non solo chi guida per lavoro, ma anche per chi va in moto per passatempo, sono al corrente del rischio, sia di farsi davvero male che di causare dolori atroci ai colleghi. Questo è il brutto delle moto, uno sport, una passione, uno sfogo, una fuga dalla noia quotidiana, un simbolo di libertà, o un divertimento che dà tanto, ma che ti può far perdere tutto in un amen, basta trovarsi nel posto sbagliato al momento sbagliato. Gli incidenti purtroppo, fanno parte del gioco e tutti i centauri ne sono consapevoli sin da quando iniziano a guidare le mini moto. Casey Stoner con ogni probabilità, si è ritirato prematuramente dalle corse perché ha iniziato a pensare alla sua famiglia e che forse, dopo tanti successi, il rischio era troppo notevole per continuare. Non ne valeva più la pena.

Invece Valentino Rossi, nonostante la tragedia del suo amico e forse suo erede designato, che lo ha visto incolpevolmente protagonista insieme a Colin Edwards, ha deciso di continuare. Una cosa che noi comuni mortali non piloti fatichiamo a capire. É bello pensare che il pilota di Urbino abbia deciso di realizzare ed amplificare il progetto della Sky Racing Team VR46 per contribuire alla crescita di ragazzi italiani in cerca di soddisfazioni, che Simoncelli non ha potuto provare, per via del destino crudele che si è ritrovato di fronte.

Queste sono le sue riflessioni e motivazioni: «Eravamo molto amici, stavamo insieme quasi tutti i giorni, spesso dopo l’allenamento, andavamo a cena a casa di Carlo Casabianca, il nostro preparatore atletico, con il Sic che portava il sushi e che ne mangiava il doppio di noi. Essere anche coinvolto nell’incidente è stato devastante e difficile da superare, ma non ho mai pensato di smettere. Mi è dispiaciuto essere lì, se fossi stato due moto più avanti sarebbe stato un po’ più facile, ma con il tempo passa tutto e quando penso al Sic ho solo ricordi positivi. Sono andato avanti per amore. Altrimenti avrei già smesso: una situazione come quella dell’incidente di Marco non la superi. Ero già grande, avevo vinto dei Mondiali, potevo dire basta. Ho cercato di dividere le due cose, il dolore e quello che si deve fare per superare. Poi ho pensato alla carriera, che volevo continuare, volevo tornare in Yamaha e tornare a vincere».

The Doctor racconta anche la qualità più impressionante che vede in Marquez: «È impressionante quello che fa, anche perché non cade più: l’anno scorso si è salvato talmente tante volte che non può più essere un caso. Per me lui si è adoperato per migliorare questa tecnica, il suo stile di guida lo aiuta, non so se è naturale o ci ha lavorato, ma lui mette il corpo fra la moto e l’asfalto, usandolo come un piozzo per non cadere. Prima di lui non era mai successo: secondo me non è l’elettronica, ma la moto, a Pedrosa quando gli succede, cade. La Honda è fatta in un modo che quando la ruota davanti si chiude continua comunque ad appoggiare, un’altra moto, tipo la nostra, se chiude davanti, la ruota tocca la carena e non la tiri più su». 

Valentino Rossi ha dichiarato anche il segreto del suo classico inginocchiamento vicino alla moto nella griglia di partenza: «Nasce dal Campionato italiano dei primi anni: non avevo la tuta su misura e facevo quel movimento per metterla a posto nelle ginocchia e all’altezza del culo. È diventato un rituale, non è una preghiera, ma un momento di concentrazione perché quando si sale in moto, da corsa o da strada, è pericoloso: lo faccio per dimenticarmi di quello che c’è stato fino a lì e pensare solo a guidare. Salgo sempre dal lato destro perché lì c’è il gas».

Desta molta curiosità anche l’origine della scelta di creare la sua VR46 Academy: «L’Academy nasce da Marco Simoncelli, che nel 2006-2007 era in crisi, non andava forte e mi chiedeva di vedere come mi allenavo. Io ero suo amico, ma ero geloso del mio modo di lavorare: ero titubante, ma mi sono detto che se c’era qualcuno che mi faceva compagnia quando mi allenavo con il cross era bello. Da lì nasce l’Academy. Nel frattempo arriva Franco Morbidelli e poi purtroppo arriva l’incidente del Sic e anche per ricordarlo abbiamo proseguito con il progetto». 

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